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Introduzione

Una battuta di spirito riassume il giudizio non soltanto politico: «Meglio soli che in Compagnia…delle Opere». Sorride  con una punta di amarezza l’ex assessore berlusconiano, che nell’ufficio si era ritrovato faccia a faccia con la delegazione ciellina. Lui dietro la scrivania istituzionale. Loro con un bel plastico in mano, nella genuina pretesa di cieca obbedienza. Normale amministrazione. La politica (tutta?) deve «inginocchiarsi» alla fratellanza di monsignor Luigi Giussani che sconfina senza peccato nella contabilità affaristica. E’ la sussidiarietà nel regno lombardo-veneto. Patrimonio pubblico da stornare nel circuito di aziende che diventano consorzi, nella rete delle società cooperative a responsabilità limitate con la vocazione ai contributi, nella galassia di un cattolicesimo perfettamente integrato a sistema. Il «modello Formigoni» funziona a regime da lustri, in particolare nella sanità incistata dalle convenzioni. A Nord Est, si coglie perfettamente il consociativismo da Prima Repubblica che rigenera vecchi legami e insieme prefigura il federalismo dei benefit. Le notizie dell’estate 2011 rappresentano nitidamente le connessioni dei ciellini con gli «scandali» di un regime al tramonto. Il crac miliardario del San Raffaele rinvia alla sanità accreditata a senso unico: dietro la facciata dell’ospedale di don Verzé si intuisce un verminaio che fa il paio con il «ciclo del mattone» dell’Expo 2015. A nessuno sfugge come, a Milano e in Lombardia, il «partito ciellino» (dal mancato presidente dell’Europarlamento Mario Mauro al vice presidente di Montecitorio Maurizio Lupi) è indissolubilmente legato al bunga bunga di Arcore. Ancora: le bordate a palle incatenate su Giulio Tremonti inchiodano, prima d’ogni altra valutazione, uno stile imperniato sulla doppiezza. Il vizietto delle prediche morali (meglio se dal pulpito dell’Università Cattolica) stride con il governo dell’economia statale. La vocazione «no global», sussidiaria, para-leghista si traduce nel peccato mortale che ammorba palazzo Chigi. Insomma, il perfetto alter ego del «celeste» Formigoni. E non basta. Il «caso Filippo Penati» racconta (eccome!) la contiguità proprio con il calvinismo delle Grandi Opere, sulla testa di tutti. Una visione che avvelena, alla fonte, il Partito democratico. Urbanisticamente, cos’ha di tanto diverso Sesto San Giovanni dalla Roma veltroniana o dalla Firenze di Matteo Renzi? «Geneticamente» Bersani & Penati forse non giocano il compromesso storico fra ciò che resta delle coop rosse e la galassia della CdO?


inContri


 sabato  17 dicembre           ore 18.00

gli autori dialogano con
con
Alessandro Zan
assessore Comune di Padova

(libreria La forma del libro - via XX settembre - Padova)